Il report completo, realizzato per la community di SheTech da Sofia Castoldi, laureata in Politiche Europee e Internazionali, ricercatrice su temi di parità di genere e politiche sociali e ora project officer, nasce sopratutto dal suo spiccato interesse per il contrasto agli stereotipi di genere. In questo articolo riporteremo solo alcuni dei punti più significativi, che potrete scaricare e leggere in dettaglio all’interno del report. Sofia ha infatti analizzato come, sotto diversi e molteplici aspetti, gli effetti della pandemia hanno determinando un notevole peggioramento della condizione della donna e aumentato quella disparità di genere già purtroppo esistente.
Nel 2019 Caroline Criado Perez, giornalista e attivista britannica, era stata profetica. A mesi di distanza dallo scoppio di una pandemia capace di essere allo stesso tempo prevedibile ed inaspettata, nel pamphlet ‘’Invisibili’’ sottolineava quanto le donne fossero più esposte a rischi rispetto agli uomini quando una malattia virale si diffonde su vasta scala. Facendo un confronto con l’esperienza di Ebola, era emerso con evidenza che le donne avessero una probabilità maggiore di contrarre il virus, in primo luogo perché costituivano – e costituiscono tuttora – la quota più consistente tra gli operatori sanitari a livello globale, soprattutto tra gli infermieri, e dunque avevano contatti quotidiani e ravvicinati con i malati. A distanza di anni, di fronte ad una minaccia quantitativamente più estesa rispetto all’epidemia di Ebola, l’esistenza di maggiori ostacoli per le donne è di nuovo confermata, in primis proprio sul piano della salute. Come avviene sul piano internazionale, dove si calcola che il 70% dei lavoratori della sanità siano donne, anche in Italia il settore medico-sanitario è caratterizzato dalla femminilizzazione, ossia dal processo che ha condotto l’intero comparto ad avere una percentuale sempre crescente di dipendenti donne, e il dato non è certo secondario nel determinare il rischio di contagio. Quello che rende più drammatico uno scenario già caratterizzato da dati profondamente negativi è però la sua prevedibilità: le prove che una pandemia determinasse un impatto peggiore sulla salute delle donne, soprattutto nei Paesi più poveri, c’erano tutte, e nonostante questo si è verificata una mancanza d’azione non priva di conseguenze.
Il lockdown poi e le chiusure che ne sono conseguite, hanno determinato una nuova crisi economica, che assume sempre più le caratteristiche di una shecession, una recessione in cui a pagare le conseguenze peggiori sono – in modo sproporzionato – le donne. Questo non deve far pensare che la crisi sarebbe stata meno grave se avesse colpito principalmente gli uomini, ma l’elemento di criticità si trova, appunto, nell’esistenza di una sproporzione, che si sovrappone ai divari di genere già noti da tempo. La shecession si è abbattuta sul piano globale, come fa notare uno studio pubblicato su Vox, con l’effetto che in alcuni Paesi come gli Stati Uniti si è raggiunto il più profondo divario mai verificatosi tra la crescita della disoccupazione maschile e la crescita di quella femminile, più ripida. In Italia la misura della recessione al femminile emerge dai dati sulle posizioni lavorative perse tra il 2019 e lo scorso anno, complessivamente pari a circa 841.000 su tutto il territorio nazionale nel terzo trimestre del 2020. Le cause di conseguenze tanto pesanti sull’occupazione femminile si possono individuare in una serie di fattori:
- Prima di tutto nel fatto che le donne lavorino in percentuali maggiori rispetto agli uomini nei settori che hanno subito uno stop prolungato.
- Una seconda motivazione è la prevalenza di donne tra i lavoratori con contratti a tempo determinato o più generalmente contratti atipici, tra le categorie professionali più colpite.
Tutti questi elementi concorrono nel definire la condizione delle donne, e dunque della parità di genere, come drasticamente peggiorata in un periodo di poco inferiore ad un anno, ma carico di cambiamenti che si sono rivelati dei veri e propri stravolgimenti della vita quotidiana.
Proseguendo, non si può certo non prendere in considerazione il lavoro di cura della casa o della famiglia svolto dalle donne. Secondo un’indagine condotta da UN Women in 22 Paesi tra Asia ed Europa le donne sono state costrette ad aumentare il loro contributo ai compiti di cura in percentuali incredibilmente elevate. La disparità è confermata anche da un’indagine condotta in Italia, che conferma l’incremento del lavoro di cura femminile durante la pandemia, con percentuali che aprono un divario profondo tra le donne e i loro partner. Il 68% delle donne con un partner ha dichiarato di aver dedicato più tempo ai lavori domestici rispetto ai periodi pre-Covid, mentre tra gli uomini la cifra raggiunge solo il 40%. Purtroppo però non sarà la fine della pandemia a ri-equilibrare la divisione dei compiti, anzi, la ripresa potrebbe comportare il rischio di un ulteriore passo indietro nell’occupazione femminile, l’aumento del peso dei compiti di cura potrebbe infatti diventare un boomerang per l’impiego delle donne.
Questa situazione ha avuto un impatto negativo anche per quanto riguarda il digital divide di genere, i cui effetti si sono manifestati nel corso dell’epoca Covid, in cui l’accesso alla rete, la disponibilità della tecnologia digitale e la sua padronanza sono diventati persino più cruciali di quanto non fossero già. Il fatto che le donne abbiano una minore possibilità di accesso a risorse informatiche, era già noto da prima della pandemia, soprattutto per quanto riguarda i Paesi dell’Africa Sub-sahariana e alcune aree asiatiche, ma è proprio in questo frangente che ne è emersa l’ampiezza del rischio. In un momento storico in cui il digitale rappresenta il principale strumento per rapportarsi con l’esterno, in assenza dei contatti diretti e personali accantonati dalle misure anti Covid, non essere nelle condizioni di usufruirne diventa una causa di esclusione non solo culturale, sociale ed economica, ma anche sul piano della salute.
A proposito di digitale e tecnologia, un altro segnale non certo positivo viene dall’Italia, che non riguarda la criticità nell’accesso alle risorse digitali, ma di differenti opportunità sul piano della conoscenza delle tecnologie. Mentre le capacità in ambito STEM sono sempre più centrali sul mercato del lavoro e offrono opportunità in crescita, garantire alle ragazze la stessa possibilità dei ragazzi di accedere a corsi di laurea STEM, al di là di qualsiasi stereotipo, è allo stesso tempo una necessità e un mezzo per garantire una più compiuta uguaglianza di genere. Eppure, nonostante la crescita delle iscrizioni femminili verificatasi negli ultimi anni, nell’anno accademico 2018\2019, l’ultimo di cui sono disponibili i dati, si inizia ad evidenziare un rallentamento. In altre parole, le iscrizioni dei ragazzi ai corsi di laurea in discipline scientifiche, tecnologiche, matematiche e nell’ambito dell’ingegneria sono cresciute ad un ritmo molto più elevato di quanto non sia avvenuto per le ragazze.
Negli ultimi undici mesi quindi, anche se sembra impensabile, la condizione delle donne ha subito cambiamenti improvvisi che hanno allontanato ancora di più il raggiungimento dell’uguaglianza. Basandosi sui parametri determinati dall’Agenda 2030 ONU e dal Gender Equality Index, la parità di genere è peggiorata in quasi ogni aspetto:
- sul fronte della salute, perchè le donne hanno un maggior rischio di contrarre il Covid-19;
- sul piano occupazionale, dal momento che nei settori più colpiti dalla crisi economica la maggior parte dei dipendenti sono donne, ma anche perchè le donne hanno contratti atipici in numero maggiore rispetto agli uomini;
- in relazione alla divisione dei compiti familiari e all’accesso agli strumenti digitali.
- Anche la violenza di genere ha subito un aumento drammatico, con l’incremento delle chiamate al numero antiviolenza nazionale, il 1522, pari al 73% e numeri elevati anche su base regionale.
A fronte di questa situazione si intravede un’unica via di uscita, che richiede in primis un impegno concreto del settore pubblico, ma anche collaborazione e sostegno concreti da parte dei privati: una ripresa che prenda in considerazione chiaramente la sproporzione che ha riguardato le donne, e che le possa includere nei piani per il futuro, anche attraverso una applicazione compiuta nella fase di progettazione ed implementazione delle politiche.